gen 28, 2014 Luigi Liberti Cinema, Fotogallery 0
Roma. Per realizzare “Dallas buyers club”, Matthew McConaughey è dimagrito 23 chili, ha bussato a tutte le porte per trasformare in film quella sceneggiatura su un cowboy omofobo malato di Aids rifiutata per 137 volte in 20 anni, ha speso 5 anni della sua vita per trovare finanziamenti, che sono scomparsi a 5 settimane dall’inizio delle riprese. Ma in questa storia non manca il lieto fine, rappresentato da 7 candidature ai prossimi Oscar e tra queste anche quella come migliore attore. Il film diretto da Jean-Marc Vallée, in sala dal 30 gennaio, è ispirato alla vera storia di Ron Woodroof (McConaughey), cowboy texano omofobo che nel 1986 usò e contrabbandò medicine alternative a quelle ufficiali per combattere l’Aids. Nella sua lotta contro la medicina ufficiale e la Food and Drug Administration, il texano macho e donnaiolo divenne amico di un transessuale (Jared Leto), e aiutò molti di quegli omosessuali che fino ad allora aveva detestato. “Questo è un film sul dramma dell’HIV, su un eroe omofono, ed è naturale che tutti ne fossero spaventati. La sfida maggiore era rappresentare un personaggio che ha molta rabbia, e che deve combattere contro la morte. Per assumere l’aspetto di un malato terminale di Aids ho vissuto per quattro mesi come un eremita, chiuso in casa. La candidatura all’Oscar ? Dopo la prima scena, in cui si rimane sorpresi della mia trasformazione, la storia prende il sopravvento, e questo è quello che mi interessa. Non vivo l’atmosfera di attesa dell’Oscar, giro il mondo per parlare del film e mi interessa condividere questa storia, ne potrei parlare per altri 10 anni: il film viene prima di me”. Il tema delle medicine alternative è tremendamente attuale, e McCounaughey ha una sua teoria: “Nell’86 nessuno sapeva come combattere l’HIV e non era l’interesse prioritario dei gruppi di potere trovare le cure – ha spiegato l’attore – Woodroof gettò luce sul problema: perse la sua battaglia in tribunale ma i lobbisti e il Congresso furono costretti a prendere in esame il problema. E’ ovvio che c’è sempre uno scontro quando si mischiano medicine e business, e questo lo sarà sempre. Mi ha fatto piacere, invece, il plauso di molte comunità gay: mi hanno confessato che parlare di Aids a metà anni Ottanta era un tabù. Credo che il film sia importante per quelle generazioni e per i giovani che non sanno niente di quel periodo. All’epoca quei malati erano come dei lebbrosi, mentre oggi si parla di Aids senza vergogna e il farmaco che si usa contiene solo un terzo di AZT”.
foto emozioni di Alfonso Romano
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