mag 16, 2014 Alessandro Pagano Home Page 0
Roma. Abbiamo sempre insistito sul concetto che il campo è il miglior giudice, quello più imparziale, quello più giusto da seguire. Per una volta dobbiamo affievolire l’importanza del campo perché il 4-1 tra Miami Heat e Brooklyn Nets non rispecchia in pieno la realtà. Sia ben chiaro, il risultato è giusto, meritato ma forse la punizione è troppo pesante, un passivo che, forse, non rivela tutta la verità.
La verità è che i Nets hanno venduto cara la pelle, dimostrando di essere una squadra ben diversa rispetto a quella di inizio stagione, mettendo in luce le sue stelle, i suoi pregi, il suo cuore. Tutto questo non senza avere rimpianti, senza evidenziare lacune e mancanze che anche un roster del genere può avere. Miami, dal canto suo, può definirsi “bella e fortunata” perché, pur giocando non sempre la pallacanestro che ci ha abituato a vedere in questi anni, è riuscita a raggiungere l’obiettivo senza obbligatoriamente inserire la quinta. Di sicuro ci si aspetta molto di più dalla squadra più che dai singoli. Il sistema di coach Spo è impostato proprio sul fondamentale ruolo di ogni pedina nel suo scacchiere e se una o due vengono meno, la squadra non gira come dovrebbe.
Il trend seguito dalle due squadre in questa serie si accomuna nel concetto di DISCONTINUITA’. Miami ha alternato fasi di buon gioco, come quelle in cui attaccava il ferro in maniera tenace, a fasi in cui sembrava essere ritornati all’era primordiale dei Big Three, dove la palla era statica nelle mani di Wade o James e gli altri restavano fermi a guardare. Nella stessa partita, poi, gli Heat hanno dato più volte dimostrazione di come poter passare da un set offensivo completamente inefficiente ad uno che è in grado, col giusto spacing, di realizzare ogni tipo di conclusione. Dall’altra parte, invece, più che una discontinuità di squadra possiamo parlare di singole discontinuità in quanto giocatori del calibro di Garnett e Williams non sempre hanno portato il loro contributo, sia in attacco che in difesa. Non mancano però gli elementi che confermano la regola, come Johnson, come Pierce, come LeBron. Passiamo ad analizzare quelli che sono stati i buoni e i cattivi all’interno della serie.
MIAMI HEAT – TOP: Walter Ray Allen. Molti direbbero LeBron James per l’incredibile gara4 giocata a Brooklyn. Molti altri direbbero Bosh per l’ineffabile mira dai 7,25. Ma l’uomo più decisivo nell’economia di questa serie è stato sicuramente Mr. He Got Game. I suoi numeri: 26’ di media, 13 punti di media, 9/25 da 3 punti (36%), il tutto uscendo dalla panchina all’età di 38 anni. L’avevamo inserito nei flop della serie precedente e avevamo precisato come una sua rinascita non fosse da escludere. E così è stato. Al di là dei numeri, un impatto sulle partite, esclusa gara3, da invidiare al più giovane della Lega, portando con sé un bagaglio di conoscenza del gioco come pochi. Tante sono state le persone che hanno speso belle parole dopo l’incredibile tripla in gara5, uno è D-Wade che lo ha addirittura definito il miglior tiratore della storia del gioco. Del resto non è da tutti prendere un tiro e mandarlo a bersaglio dopo uno 0/6 piuttosto pesante.
A suffragare ciò diceva Mr. Three ci sono i record: il canestro decisivo nell’ultima gara è arrivato a 32’’ dall’ultima sirena e questo canestro lo fa diventare il miglior tiratore, il più clutch shooter a livello playoff dalla stagione ’96-’97. In questa particolare classifica sale al primo posto con uno straordinario 10/16 (63%), seguito da Fisher (60% con 3/5), Robert Horry (50% con 3/6) e Reggie Miller (46% con 6/13). Più TOP di così non si può.
MIAMI HEAT – FLOP: Rashard Lewis. Un giocatore che sembra essere perfetto per questo Sistema di gioco, fatto di penetra-e-scarica, fatto di tagli, fisicità e aggressività difensiva. Eppure Lewis stenta, ancora. Inserito come secondo ricambio degli esterni dopo Allen, Lewis non entra mai nella serie, sbagliando (anche clamorosamente!) più di una comoda conclusione. Le cifre sono di sicuro al di sotto delle aspettative e Spo nelle ultime due gare ha preferito inserire Jones anziché l’ex Magic. Resta un’ottima opzione offensiva e difensiva ma se il livello continua a salire, i problemi per Rashard continueranno ad aumentare.
BROOKLYN NETS – TOP: Joe Marcus Johnson. 40/73 (54.7%) dal campo, 13/30 (43.3%) da 3 punti, 20.2 punti di media a sera, con un picco di 34 punti nell’elimination game. Sono solo numeri, ma che numeri! Senza ombra di dubbio il giocatore che più ha dato fastidio alla difesa Heat, con una gara5 da vero campione, da vero leader. Del resto non c’è nessuna novità perché quando i Nets sono in difficoltà si girano verso un solo lato, quello di JJ.
Una pazzesca percentuale dal campo (15/23 65.2%) in gara5 non è bastata per evitare sconfitta ed eliminazione ma Johnson si conferma essere uno dei primi 5 giocatori più decisivi a livello NBA. Nonostante la stoppata subita e l’ultimo tentativo non riuscito di prendere un tiro, la serie del giocatore di Little Rock, Arkansas, è da incorniciare. Un clinic offensivo in quasi tutte le partite, una forza fisica unita ad una delicatezza di polpastrelli rara a questi livelli. La crudeltà dello sport e della pallacanestro è che questi numeri dureranno lo spazio di un mattino ma ciò che resta è l’infinita eleganza di uno dei talenti più puri di questi NBA Playoffs.
BROOKLYN NETS – FLOP: Kevin Garnett. Per distacco è il giocatore che ha avuto meno impatto sulla serie, indipendentemente dalle cifre, dai numeri. KG ha sempre protetto l’area con le sue braccia interminabili, intimorendo gli avversari. Vuoi l’età avanzata, vuoi il basso minutaggio che gli riserva Kidd, vuoi l’attacco di Miami, l’ex Celtics non ha avuto modo di mettersi in ritmo nella serie e per la prima volta conclude una partita di PO con 0 punti. Mentre Pierce smentisce categoricamente le voci sul ritiro, KG non ha ancora parlato del suo futuro. In molti credono che Gara5 contro Miami sia stata l’ultima partita per Garnett ma finché non arriveranno le sue parole nulla sarà definitivo.
Non si possono non citare chi comunque ha contribuito in maniera consistente al passaggio del turno. Miami ha potuto far affidamento sul solito LeBron James, che ha fatto registrare il suo massimo nei PO con la maglia degli Heat (49) e ha chiuso la serie con 30 di media, tirando con uno spaventoso 57% (56.9%) dal campo. Non il solito LeBron , però, che ha vissuto più di isolamenti che di giocate di squadra. Altri protagonisti sono Wade e Bosh: il primo chiude con 18.2 punti di media e il 50.6% dal capo, mentre il secondo con 14.6 di media e il 51% dal campo. Ma CB1 si è distinto per la sua incredibile percentuale da 3 punti, superando, seppur di poco, quella di Ray Allen. L’ex Raptors, infatti, ha realizzato 8 triple su 22 tentativi (36.3%) e si è rivelata l’arma in più dei Miami Heat.
happy wheelsNato a Pompei il 3/4/1993. Studente del corso di Scienze e Tecnologie della Comunicazione presso La Sapienza di Roma, Redattore NBA per partenopress.com e My-Basket.it; giocatore e amante della palla a spicchi da sempre. MORE THAN A GAME.
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