mar 16, 2012 Redazione Fotogallery, Home Page, Motori 0
Magistrale “Lectio” di Andrea Camilleri, questa mattina, alla Sapienza di Roma. Al “Maestro”, com’è universalmente riconosciuto lo «scrittore italiano ma nato in Sicilia», è stato conferito il dottorato di ricerca honoris causa in Storia dell’Europa. La cerimonia ha preso il via con la prolusione del rettore Luigi Frati e l’elogio a cura del coordinatore del dottorato di ricerca in Storia dell’Europa, Giovanna Motta.
E proprio «Uno scrittore italiano nato in Sicilia» è stato il titolo della Lectio magistralis che ha ricevuto una standing ovation da parte dell’Aula Magna dell’università, per l’occasione stracolma di gente.
Nonostante gli 86 anni, il Maestro ha illustrato, con grande lucidità, uno spaccato della storia d’Italia partendo dalla Sicilia, sua terra natìa, patria di tutti i suoi scritti. «Non sono uno scrittore siciliano, ma uno scrittore italiano nato in Sicilia – ha esordito -. E qui ho ambientato tutta la mia narrativa, che dalla Sicilia trae senso e riflessione». Ha parlato dell’annessione dell’isola al Regno d’Italia, «col plebiscito del 21 ottobre 1860. E’ stata un’annessione – ha specificato – voluta da ben il 75% degli aventi diritto al voto. Nonostante questo, o forse proprio sull’onda dell’entusiasmo, tanti politici siciliani sognavano un autogoverno locale. Noi siciliani (il noi è evidenziato con vigore, ndr) sentiamo parlare più delle nostre vicende giudiziare che della nostra storia». Si ritorna al passato, col fenomeno del brigantaggio legato alla rivolta contadina: «Non vi sembrano troppi oltre tredicimila briganti arrestati, uccisi o arresisi? Erano tutti briganti o forse contadini in rivolta?»
Il problema della Sicilia, prosegue Camilleri, è «un problema di tutto il Sud, con tanti errori da parte dello Stato – truffe, sperpero di denaro pubblico, malavita – e tanti anche da parte dei siciliani stessi».
L’intervento mirabile si conclude con uno sguardo all’Europa attuale, da cui Camilleri ha tratto ispirazione per un romanzo autobiografico «che non credo riuscirò a scrivere, perché mancano le forze».
La trama racconta di un uomo nato in sicilia nel 1925, e dunque in pieno periodo fascista. L’uomo, imbevuto di idee fasciste, è un precoce lettore, che si rende conto di avere tante piccole patrie letterarie (Inghilterra e Francia in primis). Quando ascolta Mussolini tuonare contro Francia e Inghilterra, si sentirà a disagio.
Nel 1942 è invitato a Firenze, al grande raduno della Gioventù fascista, dove tiene una relazione di fronte a una vasta platea di giovani. Dalle parole di Baldur von Schirac, capo della gioventù nazista (Hitler-Jugend) si rende conto che il Nuovo ordine europeo voluto da Hitler assomiglia a una grigia caserma dove impera l’ordine nazista.
Tornato a Vigata, dov’era nato, ogni giorno si allontana sempre più dal fascismo: nel dopoguerra diventa comunista. Egli crede sempre più nella cultura. E L’Europa che vede formarsi non è quella sognata da Einaudi, da De Gasperi, da Adenauer: è semplicemente un’Europa astratta tenuta insieme da una moneta unica.
«Meglio di niente», pensa allora. Ma poi assiste al declino, alla crisi e si chiede: ma l’altra Europa, quella con principi e valori comuni, avrebbe resistito meglio? E la Grecia, che è stata la culla della nostra cultura e che oggi è in crisi nera, rappresenta un monito da seguire. La vera unità non può esistere se non c’è un ideale (Camilleri lo ripete tre volte, ndr) che apra alla comunanza.
«Questa è la conclusione della trama – afferma Camilleri -. Mi auguro che i miei nipoti non la leggano in un libro. Mi auguro che possano viverla».
La lectio magistralis si conclude così, con una standing ovation tributata giustamente dall’Aula a uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana del nostro secolo.
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