lug 26, 2014 Alessandro Pagano Home Page 0
Roma. “Cleveland, Cleveland… cerco sulla mappa ma non la trovo. Si è scancellata!” dissero durante una telecronaca il duo The Voice & The Lawyer, Flavio Tranquillo e Federico Buffa. Ok, non ci permetteremmo mai di criticare le due voci più famose del panorama cestistico italiano ma le cose sono di nuovo cambiate. Cleveland, mai tanto famosa per il basket, emerge come nota meta per gli amanti del Rock & Roll, tanto da essere definita Cleveland Rocks. L’anno in cui cambia tutto è il 2003 quando il Prescelto approda nella sua città. Ora il basket è ufficialmente lo sport principalmente seguito in Ohio. Dopo 7 stagioni, 548 partite, 15250 punti e “Zero Tituli”, per dirla alla Mou, LeBron James lascia i Cavs per approdare a South Beach, dove diverrà nelle stagioni successive due volte campione NBA. Cleveland ora, però, ritorna a giocare un ruolo fondamentale nella Lega e, sicuramente, ritorna ad essere molto più segnalata nelle cartine geografiche. Chi se lo aspettava, chi meno, chi ha recuperato la sua canotta bruciata o cestinata, chi è rimasto deluso dal suo abbandona in Florida, chi lo vede nuovamente sul trono e finalmente pronto a portare in alto il nome della sua città. Ma LeBron James, lontano parente di quello che nel 2010 aveva lasciato casa sua per portare i suoi talenti alla corte di Pat Riley, è pronto per vincere in un contesto molto diverso da quello dei Miami Heat? Questa è la domanda che si pone tutto il mondo. Se la scelta di tornare sarà positiva o sarà un nuovo fallimento questo è impossibile da stabile, ma le previsioni son fatte per questo. Naturalmente, la risposta passa per tanti fattori che possono intervenire per bloccare o agevolare la missione di James. Qui ci soffermeremo su due degli aspetti più importanti che riguardano i nuovi Cleveland Cavaliers e la loro REVOLUTION. Il primo che affronteremo è l’aspetto che riguarda il reparto delle point guard, o playmaker se preferite, che ha avuto accanto James durante questi 11 anni di NBA. Vi siete mai chiesti se il Re abbia mai avuto in cabina di regia un playmaker degno di tale nome? In questi 11 anni ne ha cambiati tanti e ve li elenchiamo molto rapidamente: nel 2003 la coppia dei Cavs era composta da Jeff McInnis e Mateen Cleaves; l’anno successivo, il secondo di LBJ, viene inserito un veterano come Eric Snow al quale viene affiancato ancora McInnis; nel 2005 la coppia dei Cavs è formata da Eric Snow e Damon Jones, più un tiratore che un trattatore di palla; per le due stagioni successive (2006-2007) accanto ad un uomo di esperienza come Snow arriva un promettentissimo Daniel Gibson, le cui sorti non sorridono praticamente mai a Cleveland; un piccolo cambio di marcia si ha con l’arrivo di Mo Williams ma, anche in questo caso, ve la sentireste di usare il termine “playmaker” in senso stretto per il numero 2 dei Cavs?
Sfuma il titolo e nel 2010 il passaggio ai Miami Heat ma il copione sembra non cambiare: nel primo anno in Florida, James vanta point guard del calibro di Carlos Arroyo, Mike Bibby e un giovanissimo Mario Chalmers; dalla dura sconfitta contro i Mavs di Dirk & Co., Riley opta per la coppia Mario Chalmers – Norris Cole che accompagnerà LeBron ai suoi due titoli, fino alla fine della sua vincente parentesi agli Heat. Tanti nomi, tanto talento, tante scommesse ma probabilmente NESSUN playmaker. C’è chi sapeva gestire la palla come Snow, ma non sapeva magari fare il resto. C’è chi sapeva rendersi molto pericoloso in attacco, come Williams, come Bibby, come Jones ma non sapeva poi riuscire a gestire il numero delle palle perse. In breve, LeBron James NON ha (quasi) mai avuto a disposizione un vero e proprio gestore della palla. Che ciò abbia influenzato il suo gioco non trova conferma empirica. C’è solo un modo per vedere se e come cambia il suo livello con un playmaker accanto: aspettare un promettente duetto tra Il Prescelto e Kyrie Irving. Sia ben chiaro, anche Irving non rientra perfettamente nei canoni classici delle point guard: tanto talento, estro, anche atletismo se vogliamo, ma di certo la gestione della palla è di gran lunga di maggior qualità rispetto agli ex compagni di squadra. Questo è un primo passo che potrebbe rilevarsi una vera rivoluzione sia per James sia soprattutto per i Cleveland Cavs.
Il secondo aspetto è ormai una delle telenovele più lunghe di questa appassionante sessione di mercato. In tre parole: Kevin Wesley Love. Prima di affrontare la spinosa questione facciamo un resoconto delle mosse e delle contromosse da parte delle due società in questione, ovvero sia i Cavs e i T’Wolves. LeBron James ha espresso il suo gradimento per il lungo di Minnesota, suo ex compagno nella spedizione olimpica londinese, e lo staff dei Cavs si è prontamente mosso per accontentare il “padrone di casa”. L’offerta è stata di Andrew Wiggins, Anthony Bennett e in aggiunta la scelta al primo giro dell’anno prossimo al draft. 3 giocatori, 2 prime scelte assolute per ottenere Kevin Love. I Timberwolves hanno riflettuto ma, dopo aver fatto capire che gradirebbero inserire Thompson in questa trade, le distanze si sono riallungate.
Love rimane comunque l’obiettivo numero uno per i Cavs, i quali, ora come ora, devono combattere contro un’altra agguerrita rivale ad Est, ovvero sia i Chicago Bulls, anche loro alla ricerca del talento da UCLA. Tutta la questione non si basa sul maggior talento, sulle maggiori capacità o su un salario più alto o più basso. È una questione che mai come questa volta vede coinvolto il neo allenatore di Cleveland David Blatt. L’aspetto riguarda in primo luogo le scelte che riguardano il tipo di gioco che si vuole instaurare all’interno di un roster così strutturato. È molto chiaro il motivo dell’indecisione: puntare sulla forza fisica, sull’atletismo, sulle ottime capacità sui due lati del campo di Wiggins e quindi investire tempo per farlo crescere, sperando di ottenere un giocatore che si avvicina a James, oppure puntare subito su un giocatore che sa stare in questa Lega, sa come si gioca a pallacanestro, sa muoversi senza palla (caratteristica imprescindibile se si vuole giocare con il Re) e sa aprire il campo come pochi vista la sua mano più che educata? Un modo adeguato di cercare di rispondere a questa domanda è porre sui piatti della bilancia i pro e i contro dei due giocatori messi al centro di questo intrigo di mercato.
- Wiggins PRO: giocatore di intensità rara in questo gioco, struttura fisica pazzesca e corsa senza limite. Il prototipo di giocatore già pronto fisicamente, accompagnato da una agilità e una delicatezza nei movimenti eccezionale. Braccia interminabili e “specialist defender” come già dimostrato al College.
- Wiggins CONTRO: l’impatto in una Lega del genere non è scontato per nessuno. Nel caso Andrew voglia spiegazioni, basta chiedere al suo compagno Bennett, spedito addirittura in D-League durante la sua stagione da rookie. Non solo l’impatto fisico ma soprattutto quello mentale è sicuramente una variabile da non sottovalutare. Il ruolo è diverso da quello di Love, meno tiratore, più penetratore e di conseguenza potrebbe trovarsi nella situazione di intasare l’area a James che, dal canto suo, vorrebbe averla vuota per scaricare su Miller, Jones, Irving, Waiter e, forse, Love.
- Love PRO: non lo scopriamo certo oggi come giocatore. Un lungo che con quella struttura fisica ha quel tipo di delicatezza di polpastrelli dall’arco se ne ricordano davvero pochi. Rientrerebbe perfettamente nel caso di “STRETCH THE FLOOR”, definizione che arriva direttamente dallo slang americano che significa letteralmente “aprire/allungare il campo”. Love andrebbe a ricoprire il ruolo di primo obiettivo per gli scarichi, un po’ come Bosh, vantando però percentuali più alte di quelle di CB1.
- Love CONTRO: privarsi di atletismo e fisicità equivale a perdere qualcosina in difesa e in campo aperto. Abbiamo visto durante queste stagioni a Minneapolis i ritmi di gioco di Love e definirli “non elevati” è una riduzione bella e buona. Il gioco interno, per uno che ha una mano così dall’arco, non è eccellente, sebbene vada con buona frequenza a rimbalzo.
Abbiamo mostrato gli aspetti dei due giocatori, ora la palla passa a Blatt, il quale dovrà decidere verso quale lato pendere. Certo è che se James decide di continuare a giocare sulla falsa riga dello stile mostrato a Miami, ovvero sia “svuotami il pitturato, piazzami 4 tiratori sul perimetro e ti porterò lontano”, il miglior acquisto sarebbe proprio Kevin Love. Se invece LeBron decide di continuare in questo senso ma lasciare più spazio e più fantasia a Kyrie Irving, allora alla causa sarebbe più adatto Wiggins. Con Love si punterebbe magari subito a conquistare qualcosa di importante, con Wiggins si potrebbe cercare di costruire qualcosa di imponente per poi creare le condizioni perfette per cercare il colpaccio a giugno. Scelte non facili da prendere perché la testa da tagliare non è in entrambi casi una brutta opzione. La REVOLUTION dei Cavs passa anche da queste scelte che sulla carta possono sembrar facili ma in pratica sono più complesse del dovuto.
happy wheelsNato a Pompei il 3/4/1993. Studente del corso di Scienze e Tecnologie della Comunicazione presso La Sapienza di Roma, Redattore NBA per partenopress.com e My-Basket.it; giocatore e amante della palla a spicchi da sempre. MORE THAN A GAME.
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