feb 16, 2014 Claudio Pellecchia Sport USA 0
Roma. Come da tradizione, l’All Star Saturday è la serata dedicata alle gare. Molto attese quella delle schiacciate e del tiro da tre punti, mentre passano quasi in secondo piano lo “Skills Challenge” e lo “Shooting Stars competiton”, la competizione di tiro tra 4 squadre composte da giocatori Nba (in attività e ritirati) e da giocatrici della Wnba. Mai come quest’anno gli appuntamenti della New Orleans Arena erano molto attesi in Italia, non fosse altro per la presenza di Marco Belinelli nel “Three Point Contest”. Un appuntamento cui l’azzurro arriva da protagonista in virtù del 44,8% dall’arco: una percentuale migliore rispetto ad autentici mostri sacri quali Steph Curry (41,5), Bradley Beal (43,0), Kevin Love (37), Kyrie Irving (36,9), Damian Lillard (40,4); tutti, tra l’altro in gara contro la guardia di San Giovanni in Persiceto. Molta curiosità, poi, proprio intorno a Lillard, playmaker e trascinatore dei Portland Trail Blazers e primo giocatore della storia ad essere impegnato nell’arco dell’intero All Star Weekend, praticamente in tutte le competizioni previste, dal “Rising star” al match della domenica sera.Il format ha ricalcato quello dell’anno scorso con i giocatori divisi in due squadre, ovviamente corrispondenti alle Conference delle squadre di appartenenza, con l’Est capitanato da Paul George e l’Ovest da Stephen Curry.
Si comincia con lo “Shooting Stars” e dalla sfida nella sfida tra la squadra dei “Currys” (Dale e Steph, con la “collaborazione” di Becky Hammond) e quella degli “Hardaways” (Tim Sr. e Jr. più Elena Delle Donne). Nel ruolo di terzo incomodo il team capitanato da Kevin Durant (completato dal leggendario Karl Malone e da Skylar Diggins) e quello di Chris Bosh (coadiuvato da Dominique Wilkins e da Swin Cash). In una sorta di insolito revival delle Finals 2012, il trio del lungo dei Miami Heat si aggiudica la gara, battendo i rivali guidati da Kd; è proprio il numero 1 in maglia nera a mettere il tiro da metà campo decisivo, bloccando il cronometro a 31.6 secondi, vanificando l’ottimo 43.6 degli avversari.
E’ stato poi il momento dello “Skills Challenge”, il circuito di prove di abilità da completare nel minor tempo possibile (più difficile da descrivere che non da vedere), che i protagonisti hanno affrontato in una sorta di “staffetta” (due squadre per Conference), diversamente da quanto accaduto nelle edizioni passate. Dopo una prima tornata di “qualificazione” (eliminati i duo DeRozan – Antetokounmpo e Reggie Jackson – Goran Dragic), ad avere la meglio nel round finale sono stati Trey Burke e Damian Lillard che, per un solo decimo di secondo (45.2 a 45.3), hanno sconfitto Michael Carter Williams e Viktor Oladipo.
Poi, finalmente, si comincia a fare sul serio con la gara del tiro da tre, la più attesa dalla pallacanestro tricolore. Anche qui, qualche discrepanza rispetto al passato: concorrenti divisi in due squadre (sempre Est vs West), sessanta secondi per completare la batteria di 5 carrelli (con i canonici 4 palloni che valgono 1 più quello colorato che vale due), con un carrello “bonus” di 5 palloni che valgono doppio, posizionabile a piacimento dal tiratore. Marco Belinelli è il terzo, dopo le performance non eccellenti di Love (16) e Lillard (18): il bolognese paga un filo di emozione e un pessimo carrello iniziale (appena 1/5), ma riesce a recuperare fino al 19 del punteggio finale. Sembra comunque finita perché poi tocca a Curry, tiratore dalla meccanica perfetta: assunto che viene confermato fino al carrello finale, quando la star dei Warriors non si dimostra all’altezza della sua fama e si attesta su un inaspettato (e deludentissimo) 16. Per Marco è finale contro Bradley Beal dei Washington Wizards che, con il suo 21, sbaraglia la concorrenza del campione uscente Irving (16) oltre che di Joe Johnson (11, ma senza aver sfruttato l’ultimo carrello causa flemma persino eccessiva) e Aaron Afflalo. Il “Vai Marco!” con cui Flavio Tranquillo inaugura la manche è il grido di battaglia che unisce i baskettari (perdonate il termine orrendo, ma l’ora è quel che è) della penisola, tutti a spingere il Beli: che raccoglie gli incitamenti a distanza, confermando il 19 della prima fase, pareggiato, però, in extremis da Beal. Serve lo spareggio: uno con i “cojones”(per dirla alla maniera del “jefe narigòn” Ginobili, compagno del nostro) riuscirebbe a fare meglio di prima. E Marco, cui non hanno mai fatto difetto gli attributi, lo fa: 24 e il miracolo è completo. Beal, infatti, deve chinare la testa e il cielo si tinge d’azzurro nella notte della Louisiana. Lo aveva detto il 3 degli Spurs: ‹‹L’All Star Game è un nuovo traguardo della mia carriera››. Quanto sono lontani i tempi di Golden State (e della panchina sotto Don Nelson) e delle sofferenze in maglia Hornets: mai vittoria è stata il giusto premio alla tenacia e all’umiltà di un ragazzo, prima ancora che un grande giocatore, che ha dimostrato dove si possa arrivare con il duro lavoro, il sacrificio e la giusta dose di testardaggine. Il rispetto, in questa lega, te lo devi guadagnare giorno dopo giorno. E Marco, non certo da stanotte, la sua meritata dose di rispetto se l’è presa di prepotenza.
Col battito tornato normale, ma con l’adrenalina ancora a mille, per il vostro assonnato cronista giunge IL momento: it’s “Slam Dunk Contest” time! Anche qui, regole complesse che stravolgono completamente la concezione (e quel minimo di sacralità) che questa competizione aveva avuto fino ad oggi. Per rendervela di più facile comprensione (e, alle 4:40 di domenica mattina non è semplice), a grandi linee si procede così: “battaglia” iniziale tra le due Conference, senza eliminati, che vale il diritto di scegliere l’ordine degli schiacciatori del secondo turno, in una sorta di uno contro uno. Qui, con il voto dei giudici (e che giudici: Magic, Doctor J e Dominique “The human highlight film” Wilkins) ago della bilancia, si decide se e chi va in finale (che in caso di “en plein” di una delle due squadre non si disputerebbe) dove, invece, incide il voto popolare (tragica assonanza con il prossimo Festival di Sanremo). Fortuna vuole che, a dare un senso a questa follia, ci sia un roster di schiacciatori spaventoso: George, Wall e Ross (campione in carica) da una parte, Barnes, McLemore e l’onnipresente Lillard dall’altra. Il “freestyle” viene dominato dal trio dell’Est che dimostra di prenderla molto sul serio fin da subito, sebbene anche Lillard e McLemore dimostrino di avere qualcosina in serbo nella borsa dei trucchi. Al secondo turno, il primo “face to face” è tra Lillard e Ross, con il Doc che decide di premiare il giocatore dei Raptors, protagonista di una schiacciata atleticamente spaventosa: palla raccolta dalle mani del rapper Drake, passata sotto le gambe e affondata con violenza inaudita. Tocca poi a Harrison Barnes contro Paul George, vincitore di un round “povero” nonostante la riedizione della oramai celebre “Windmill 360” non vada propriamente a segno. Inutile la trovata in chiave vide ludica del giocatore dei Warriors, autore di una “dunk” molto semplice per questi livelli. L’ultima manche si apre con Shaquille O’Neal su un trono sotto il canestro (e già qui si potrebbe andare a casa): McLemore non batte ciglio e schiaccia sopra trono e Shaq, nell’occasione benedicente in una pacchianissima cerimonia di “incoronazione” del giocatore dei Kings. Si può fare meglio? Certo che si, citofonare John Wall che ha la splendida idea di schiacciare “in reverse”sopra la mascotte dei Wizards che teneva la palla. I giurati premiano all’unanimità l’Est che vince la gara, mentre Wall si aggiudica, meritatamente, il titolo di “Dunker of the night”. Permetteteci, però di dubitare di questa nuva formula che ha svilito, e di molto, uno degli appuntamenti più attesi dell’intera stagione Nba. Su questo aspetto, il neo commissioner Adam Silver, avrà di che riflettere.
happy wheelsNasce a Napoli il 07/09/1987. Già collaboratore/redattore per il "Roma", "Il Mattino" e toniiavarone.it, nonostante la laurea in Giurisprudenza ha deciso comunque di intraprendere l'avventura rischiosa e affascinante del giornalismo. Pubblicista dal 2013, ama lo sport e le storie che vi ruotano attorno. Occuparsi di Nba non è un lavoro, ma un piacere.
ott 25, 2024 0
ott 24, 2024 0
ott 15, 2024 0
ott 14, 2024 0
ott 08, 2024 0
ott 01, 2022 0
set 30, 2022 0
set 03, 2022 0
ott 01, 2013 6
mag 22, 2009 5
11 years ago
11 years ago
11 years ago
11 years ago