mag 16, 2014 Claudio Pellecchia Sport USA 0
Roma. Quattro squadre, quattro coach, quattro modi di intendere e giocare lo sport più bello del mondo. I playoff Nba sono una giungla dove solo i più forti sopravvivono, dove non si danno seconde opportunità, dove, anche se ti chiami Chris Paul, puoi perdere il più sanguinoso pallone dai tempi della high school e guardarti i momenti che contano comodamente seduto sul divano. La gara a eliminazione prosegue: cadute Portland, Washington, la Los Angeles in bianco rosso e blu e Brooklyn, è arrivato il momento delle finaliste delle due Conference. Probabilmente, quelle annunciate.
LeBron James e Paul George: i destini di Heat e Pacers dipendono da loro (fonte: bleacherreport.com)
MIAMI HEAT – INDIANA PACERS
Non si può ignorare l’evidenza. I Pacers aspettano questo momento dalla sirena finale dell’ultima gara 7 contro i figli prediletti della Florida. E, da romantici sfavoriti quali sono, stavano per riuscire nell’impresa di non arrivare nemmeno alla palla a due di domenica sera. Il primo turno contro gli Hawks è stato da sagra degli orrori: una squadra di onesti mestieranti della palla a spicchi, ben allenata dal delfino di uno dei migliori coach dell’ultimo cinquantennio (a proposito, caro il mio Budenholzer: se aspetti che Pop schiodi da QUELLA panchina stai fresco) stava per sbattere fuori la seconda forza a Est. Gli sguardi di terrore dei conterranei di Larry Bird in gara 7 alla Bankers Life Fieldhouse, ricordavano tanto quelli dei mormoni dello Utah quando Michael Jordan appose la sua firma in calce ai 38 secondi che, quasi vent’anni fa, cambiarono per sempre la percezione del gioco. Con la differenza che stavolta c’era Jeff Teague: con tutto il rispetto, non proprio la stessa cosa. Meglio con Washington, altra squadra già grata per essere arrivata fin lì: di nuovo, però, gara 1 persa in casa, con Gortat a olajuwoneggiare in allegria. Il 4-2 finale pare più il risultato dei limiti dei Wizards che non della effettiva superiorità dei Pacers. Ma adesso, bene o male, siamo al “redde rationem”. E i casi sono due: o giocano le partite della vita e buttano fuori i campioni in carica (conditio sine qua non: Hibbert che si sveglia dal suo inopportuno letargo primaverile), oppure la pressione finirà per schiacciarli. E l’androide con il numero 6 non aspetta altro. Se comincia a girare lui, si rischia di assistere a una riedizione del “Rumble in the Jungle”: con Alì-Lebron a guardare Foreman-George (quando si dice “nomen omen”) cadere per l’ennesima (l’ultima?) volta. Pronostico? 4-2 Heat.
Riuscirà Kevin Durant ad avere la meglio sulla difesa degli Spurs? (fonte: bleacherreport.com)
SAN ANTONIO SPURS – OKLAHOMA CITY THUNDER
Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo e “può un uomo avere la meglio sul sistema dei San Antonio Spurs” sono le grandi domande dell’umanità. Almeno l’ultima troverà a breve una risposta attendibile nella serie che celebra l’unità degli opposti. Organizzazione contro improvvisazione, la forza del gruppo contro il talento sconfinato dell’MVP da Washington, l’esperienza incarnata dal caraibico che non ride mai contro lo sfacciato atletismo di giovanotti che guardavano le Finals del 1999 (le prime del suddetto) davanti alla tv. Potremmo andare avanti con le banalità per giorni, quindi poche chiacchiere: Durant avrà il compito di mascherare i palesi limiti dei suoi (emersi con imbarazzante evidenza nella serie contro i Grizzlies) contro uno dei migliori collettivi della storia del gioco. Tenendo presente che, contro questi, potrebbe non bastare nemmeno quarantelleggiare ogni sera. Ecco perché, anche a sto giro, a Batman serve l’aiuto di Robin: Westbrook sarà chiamato, forse come mai in vita sua, a razionalizzare ogni singolo pallone gestito, senza farsi prendere dalla frenesia di spingere a ogni possesso. E, soprattutto, dovrà cominciare a difendere. Perché se Parker (infortunio al bicipite femorale permettendo) è solo lontanamente quello delle prime tre partite contro i Blazers, allora si passa da “missione impossibile” a “missione impensabile”. Tornerebbe, perciò, utile anche un Ibaka capace di tenere sotto i tabelloni contro Duncan e Splitter nonché letture difensive immediate e efficaci contro le uscite dai blocchi di Leonard, Green e (udite udite) Marco Belinelli. Dite che è troppo? Pensate che abbiamo preferito sorvolare sulle “divagazioni” dell’argentino dalla calvizie galoppante, che, negli anni, ha portato in dote a Pop partite dalla discreta importanza. Anche qui 4-2 per gli Spurs e KD, purtroppo per il giocatore meraviglioso che è, costretto a rimandare l’appuntamento con il Larry O’Brien.
happy wheelsNasce a Napoli il 07/09/1987. Già collaboratore/redattore per il "Roma", "Il Mattino" e toniiavarone.it, nonostante la laurea in Giurisprudenza ha deciso comunque di intraprendere l'avventura rischiosa e affascinante del giornalismo. Pubblicista dal 2013, ama lo sport e le storie che vi ruotano attorno. Occuparsi di Nba non è un lavoro, ma un piacere.
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