dic 12, 2013 Redazione Home Page, Sport USA 0
Roma (alessandro pagano). L’ultima decade della Western Conference si è caratterizzata molto per la ricerca della “squadra-rivelazione”, la mina vagante. Per gran parte di questi lunghi 10 anni, questa etichetta era saldamente appiccicata sulle maglie e sulla franchigia di Mark Cuban, showman (anche troppo!) NBA se ce n’è uno. Tutto, però, inizia a cambiare nel 2011, quando, dopo anni di investimenti e di pazze rincorse, i Dallas Mavericks approdano alle Finals. Il risultato, quanto mai sorprendente, lo conosciamo tutti. Da lì in poi, la squadra si è forse troppo adagiata sugli allori, si è cullata su quell’anello strappato a James & co. e un diffuso senso di sazietà ha contagiato gran parte dei giocatori, Nowitzki in primis. Nonostante i nuovi arrivi, un po’ datati ma di grande spessore, i Mavs nelle ultime due stagioni non sono mai decollate realmente, lasciando vacante il trono di “squadra-rivelazione”. Quello spazio è stato puntato, attaccato ed ottenuto dalla squadra di un reverendo newyorchese che, con l’aiuto di uno straordinario Bob Myers, General Manager della franchigia, è arrivata lo scorso anno ad un passo dalla finale di conference. Un passaggio di testimone doveroso dopo anni di gloria per i Mavs ma anche giusto, visto tutto ciò che hanno e stanno dimostrando le due squadre.Il campo stanotte li vede sullo stesso parquet, alla Oracle Arena di Oakland, in una delle baie più belle del mondo. E’ la serata di un grande ex, Monta Ellis, dal 2005 al 2012 con la casacca giallo blu degli Warrios. 7 stagioni di grande spessore che gli hanno permesso di essere protagonista anche ad altissimi livelli. Ma stasera non c’è spazio per romanticismi e sentimenti, c’è solo da sancire o ristabilire l’ordine su quel trono. La partenza non sorride alla squadra di casa che totalizza la bellezza di 7 palle perse nel solo primo quarto; distratti anche in difesa, gli Warriors si ritrovano subito sotto nel punteggio, toccando il -11 grazie ad una penetrazione di Ellis e una tripla di Calderon. La crescita, soprattutto mentale, di Ellis è frutto di un gran lavoro di Rick Carlisle e di tutto lo staff dei Mavs: tiri più ponderati, costruzione del gioco basata sulle sue uscite e sulle sue penetrazioni velocissime. Nel contempo Golden State non riesce a trovare continuità né in attacco né in difesa e la tripla di Wunder Dirk regala il massimo vantaggio agli ospiti: 52-34. Nella baia lo sanno, forse un pochino meno pronti i Mavs, ma il secondo tempo è territorio di caccia per il vero padrone di casa: Stephen Wardell Curry. Il terzo quarto gli Warriors rosicchiano punti su punti grazie ai suoi long two ma il tabellone del palazzo sorride ancora ai Dallas Mavericks alla fine del terzo quarto (72-66).
Sono 6 i punti che dividono le squadre ma dopo pochi minuti dell’ultimo quarto questi due possessi vengono annullate da due magie del figlio di Dell: prima dal solito angolo destro e poi, dopo il TO quasi inutile per spezzare il ritmo di Carlisle, altra bomba centrale per il pareggio a quota 82. Il gioco inizia a diventare migliore, le fasi offensive e difensive salgono di livello e, in post basso, Dirk Nowitzki spiega l’uso del perno ad un ingenuo Harrison Barnes che concede anche il tiro libero supplementare. Sembra essersi spenta di nuovo la squadra di Jackson quando Thompson si addormenta su un rapidissimo back-door di Ellis che rimette due possessi tra le squadre. Manca 1’26” quando inizia la straordinaria rimonta dei padroni di casa. Un disattento Calderon si fa sfuggire Curry che, con estrema furbizia e mestiere, lo aspetta per cercare il contatto; il risultato è fallo e canestro da 3 e gioco potenziale da 4 punto messo a referto dalla reincarnazione di Pete “Pistol” Maravich. La rimonta si conclude con la bomba di chi non ti aspetti: Thompson no, Barnes no, Curry no; la bomba è di Draymond Green che su assist di Curry, uno dei 9 sfornati dal numero 30, realizza il canestro del vantaggio. Sul fonte opposto un velenoso errore dalla lunetta di Monta Ellis lascia aperti i giochi perché il punteggio è di perfetta parità. Il TO di Jackson, motivatore come pochi in ambito NBA, fa la differenza. Gli Warriors entrano in campo decisi e determinati, ottima è, infatti, la difesa sullo step-back di Ellis che va corto offrendo l’ultima chance di vittoria ai padroni di casa. La palla, ovviamente, va nelle mani di Curry che si trova in single coverage con The Matrix, al secolo Shawn Marion. Dall’altra parte dell’oceano la chiamano “Fake”, il nostro italiano la traduce come FINTA ed è proprio quella in cui abbocca un gran difensore come Marion: palleggio, arresto, fake, tiro e…solo nylon, come sono abituati a vedere nella baia da 2/3 anni a questa parte. Il canestro vale vantaggio e vittoria per 94-95 visto che la preghiera di Calderon da centro campo non va nemmeno vicina al ferro.
Altro giro, altro regalo, altra vittoria. Nella baia non si passa e quando Steph è in stato di grazia (33 e 9 assist alla fine) non ce n’è per nessuno.
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