giu 03, 2014 Claudio Pellecchia Sport USA 0
Roma. Erano le 5 e 30 di un giovedì mattina in Italia (sera inoltrata al di là dell’oceano Atlantico). A San Antonio, Texas, si era già pronti a stappare e non escludiamo che Popovich (anche se non lo ammetterà mai) tenesse in ghiaccio da qualche parte una bottiglia di buon vino d’annata, da grande intenditore qual è. Poi Parker che cambia (male) su LeBron, tripla lunga sul secondo ferro, “taglia fuori” su Bosh che non c’è, palla a Walter Ray Allen in angolo, “ciuff” e tutti a gara 7. Come poi sia andata è, come si suol dire, storia, con Duncan che, a pochi secondi dall’ultima sirena dell’ultima partita, sbaglia l’appoggio al vetro che avrebbe voluto dire quinto titolo in 15 anni.
Spurs vs Heat, un anno dopo. Cosa è cambiato? Dalla parte dei nero argento poco o nulla. Il caraibico che non ride mai continua a portare a scuola di post lunghi che hanno quasi la metà dei suoi anni, il “jefe narigòn” di Bahia Blanca ha ampiamente dimostrato di poter decidere partite e serie anche con poco più di 20 minuti a sera a disposizione e Tonino nostro, al netto dell’infortunio che lo ha limitato in 4 delle 6 gare contro i Thunder, ha disputato, nettamente, i migliori playoff della carriera. “La vecchiaia è bella, peccato duri troppo poco” soleva ripetere Gianni Brera. Ebbene, a “Spursello” stanno smentendo anche questo teorema: a, rispettivamente, 38, 36 e 32 primavere sulle spalle i “Big Three” più “big three” della storia, hanno trascinato onesti mestieranti quali Patty Mills, Cory Joseph, Matt Bonner, al primo “back to back” a livello di Finals della franchigia. Certo c’è anche l’altro risvolto della medaglia che parla di un “supporting cast” di tutto rispetto: l’onnipotente Diaw visto contro Okc, Danny Green, “New Jersey gangsta” folgorato sulla via di San Antonio, Thiago Splitter e, in qualche misura, anche il nostro Marco Belinelli (o, quantomeno, quello ammirato fino alla metà di aprile) sono variabili che aiutano e non poco nella soluzione di quella complessa equazione che è una stagione Nba.
Però una macchina del genere devi anche essere bravo (e fortunato) a progettarla e costruirla: detto di Ginobili alla 57 come “steal of the draft” del secolo, in pochi, per esempio, seppero credere a Parker alla 28 o, in tempi più recenti, in Kawhi Leonard o del sempre positivo DeJuan Blair (poi mandato a Dallas dai Mavs). E’ la sintesi perfetta del “modello Spurs”, con RC Buford che incarna il ruolo di mente e braccio armato: la ricerca di giocatori, magari non spettacolari o belli da vedere (concetti, comunque, molto aleatori), ma perfettamente funzionali a un sistema con pochi eguali nella storia del gioco. Come poi Pop riesca a plasmarli intorno al 21 da Wake Forest è storia nota dal 1999, punto di partenza di un’epopea di cui ancora non si intravede la fine. Del loro modo di giocare, figlio di un “playbook grande come il Pentateuco” (dal vangelo secondo Buffa), si conosce praticamente tutto; eppure, vederli ancora in campo, anno si anno no, alla metà di giugno, genera uno stupore che non avrebbe francamente motivo di esistere.
Del resto, era stato profetico anche Tomasi di Lampedusa: “Tutto cambia perché niente cambi”. Non esiste, infatti, trasposizione letteraria che possa descrivere gli Spurs meglio de “Il Gattopardo”. Per quanto i vari Durant, Aldridge, Paul, Harden diano fondo al proprio pressoché illimitato talento, con questi qua si dovrà sempre fare i conti. E a South Beach farebbero bene a preoccuparsi: perché, magari, una volta la puoi anche sfangare. Alla seconda, soprattutto se il caraibico di cui sopra aspetta da un anno la possibilità di emendarsi da quell’appoggio sbagliato sul finire di gara 7, finisci per pagare dazio. Anche se ti chiami LeBron James.
happy wheelsNasce a Napoli il 07/09/1987. Già collaboratore/redattore per il "Roma", "Il Mattino" e toniiavarone.it, nonostante la laurea in Giurisprudenza ha deciso comunque di intraprendere l'avventura rischiosa e affascinante del giornalismo. Pubblicista dal 2013, ama lo sport e le storie che vi ruotano attorno. Occuparsi di Nba non è un lavoro, ma un piacere.
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