feb 10, 2014 Claudio Pellecchia Sport USA 0
Roma. Piccola premessa prima di cominciare. Tra i tanti motivi che spingono a raccontare, giorno dopo giorno, quanto accade al di là dell’oceano nella nostra lega preferita, c’è soprattutto la passione. Passione per l’Nba, passione per questo splendido gioco che ci fa impazzire. Uno degli aspetti più strettamente connessi con la passione è il tifo. Ebbene, nemmeno quello che vi sembra il più obiettivo e pacato dei giornalisti sportivi è immune da questo virus. E, naturalmente, non fa eccezione nemmeno il vostro cronista che, quando si parla di palla a spicchi nutre un insano e, ultimamente, ingiustificato amore per i colori gialloviola dei Lol…ehm Los Angeles Lakers. Vi starete legittimamente chiedendo come tutto ciò vi possa tangere; ebbene si è trattato di una premessa doverosa per meglio introdurvi all’analisi dell’ennesima indecorosa prestazione della squadra che, non più tardi di 4 anni fa, realizzava il “back to back” suonandole ai Celtics in una memorabile gara 7 di finale. Saranno due i punti di vista che, inevitabilmente, finiranno per intrecciarsi: quello del tifoso e quello del cronista che intende raccontare quello che i suoi occhi hanno visto sul parquet dello Staples Center. Confesso che è molto difficile parlare con lucido distacco e necessaria obiettività di una partita che non ha fatto altro che ribadire cose già dette e stradette: eppure, la sensazione è che con la sconfitta contro i Bulls (92-86) si sia toccato quel fondo dal quale, si spera, si deve iniziare a risalire. Perché, giova ricordarlo, i Lakers sono ad una partita dal peggior record della Western Conference e se dall’altra parte non ci fossero i Bucks che continuano nel loro tentativo di emulazione dei Philadelphia “seventy sickers” del 1972/73, saremmo ad un passo dal peggio del peggio dell’intera Nba. Con tanti saluti al sanguinante cuore purple and gold del sottoscritto.
La partita coi Bulls, dicevamo. L’inizio è tutto un programma con Ryan Kelly che spreca in maniera inqualificabile uno dei pochi lampi che l’eà avanzata ancora consente al vecchio Steve Nash. In un amen il tabellone recita un impetoso 10-2 per gli ospiti, che diventa 12-2 quando Hinrich (19 punti, 6 assist e 7/13 al tiro) infila in beata solitudine il jumper dalla media. Tuttavia, nonostante la lotta con Kronos gli porti via parecchie energie, è proprio il canadese da Santa Clara, con 4 punti in fila, a rimettere un minimo in partita i suoi, facendo in modo che anche Steve Blake ne segua l’esempio, mandando a bersaglio il 17-10. I Bulls, però, danno comunque l’impressione di avere tutto sotto controllo, in virtù di un dominio sotto canestro che il 19-10 (e il successivo 23-10) di Taj Gibson (18 punti e 6 rimbalzi) ribadisce fin da subito. Dopo che Kaman (comunque il migliore con la doppia doppia da 27 e 10) inizia a giustificare la sua presenza in campo con il semigancio del 23-12, ecco la tripla di Shawne Williams (“Carneade, chi era costui?”) per il -10 (29-19), prima che ancora Kaman si esibisca in un’incredibile “spin move”, concluso con il morbido appoggio al vetro del 34-23. Il secondo quarto non si discosta di molto dallo script annunciato alla vigilia, con i mestieranti da LA a cercare di salvare il salvabile: le triple di Kendall Marshall (13 punti e 11 assist) e Steve Blake valgono il -5 (42-37) a metà periodo con Kaman che, poi, in contumacia Gasol, decide di dare seguito alla sua serata di grazia, chiudendo con il 42-39 il suo movimento (assai legnoso per la verità) nel pitturato. Chicago decide allora di correre e uno dei 6 assist (più 15 punti) di serata di Dj Augustin trova pronto sotto canestro Jimmy Butler per il 44-39. Nash rientra in campo e serve un cioccolatino che Jordan Hill non può esimersi dallo scartare (46-41), appena prima della sciocchezza di Blake che concede il gioco da 3 punti a Hinrich, buon viatico per il 52-46 con cui si arriva all’intervallo lungo. Nel terzo quarto, la lotta di cui sopra tra Kronos e Nash trova la sua inevitabile conclusione: il numero 10 in maglia bianca appoggia male il piede ed è costretto ad abbandonare definitivamente il parquet. E’ l’inizio della fine. Hinrich mette la tripla del +21 (73-53), spezzando il precario quanto illusiorio equilibrio sul quale la gara aveva vissuto fino ad allora. Si tratta, di fatto, del parziale che risulterà decisivo. L’ultimo quarto è, tutto sommato, il migliore dei losangelini che, guidati più dall’orgoglio che non dagli schemi d’antoniani, cercano un’ improbabile rimonta: Chris Kaman scherza in post Noah e sigla il -8 (79-71) con 8 minuti ancora da giocare. L’imponderabile sembra dietro l’angolo quando poi, nell’ultimo minuto di gioco, il tedescone, dopo il recupero di Blake, serve Wesley Johnson per la facile schacciata dell’88-84. Ma questo è il massimo che i Lakers possono produrre e ce lo ricordano con la sanguinosa palla persa a 22 secondi dalla sirena finale che sigilla la W per “Windy City”. Non basta il 15-24 di parziale negli ultimi 12 minuti di gioco; le facce di Bryant e Gasol in borghese dietro la panchina sono l’emblema dell’anno di di (dis)grazia 2013/2014 per quella che, una vita fa, era la squadra dello “show-time”. Sic transit gloria mundi.
Chicago Bulls: Noah 20, Gibson 18, Hinrich 17. Rimb: Noah 13. Ass: Augustin 6
Los Angeles Lakers: Kaman 27, Hill 15, Marshall 13. Rimb: Kaman 10. Ass: Marshall 11.
ALTRI RISULTATI:
New York Knicks – Oklahoma City Thunder 100-112;
Dallas Mavericks – Boston Celtics 102-91;
New Orleans Pelicans – Brooklyn Nets 81-93;
Memphis Grizzlies – Cleveland Cavaliers 83-91;
Indiana Pacers – Orlando Magic 92-92;
Sacramento Kings – Washington Wizards 84-93;
Philadelphia 76ers – Los Angeles Clippers 78-123
happy wheelsNasce a Napoli il 07/09/1987. Già collaboratore/redattore per il "Roma", "Il Mattino" e toniiavarone.it, nonostante la laurea in Giurisprudenza ha deciso comunque di intraprendere l'avventura rischiosa e affascinante del giornalismo. Pubblicista dal 2013, ama lo sport e le storie che vi ruotano attorno. Occuparsi di Nba non è un lavoro, ma un piacere.
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