lug 09, 2010 Umberto Gallucci Home Page, Spettacolo 0
“Entrano le squadre in campo, che magnifica allegria. Quando cade l’acrobata, entrano in scena i clown”. Questa sera a Ravello, nella splendida cornice della sala dei Cavalieri di Villa Rufolo è andata in scena la prima assoluta “Quando cade l’acrobata, entrano i clown” scritto da Walter Veltroni e musicato da Riccardo Panfili. A venticinque anni dalla strage dell’Heysel, il Ravello Festival ha commissionato a Walter Veltroni un testo che rievocasse quella vicenda, e a Riccardo Panfili la musica per accompagnare il ricordo. Una serata nel ricordo di uno dei giorni più brutti della storia del calcio mondiale, quando per una partita di calcio persero la vita trentasei persone, trentasei tifosi, trenatasei anime innocenti. Persero la vita uomini che percorsero tantissimi chilometri per andare a seguire la propria squadra del cuore, sognando di diventare Campioni d’Europa. “È una cosa rabbrividente, inaudita. E per una partita di calcio” così commentò durate la telecronaca Bruno Pizzul, entrando nelle case degli italiani.
Il 29 maggio 1985 il calcio perse la sua verginità, la sua aura – cioè – di gioco, per diventare cronaca e basta. Quel giorno, in diretta tv, la follia si impossessò del gioco più bello del mondo, forse definitivamente. Si disputò la partita, comunque. Come dei clown – sottolineò Platini – i calciatori entrarono in campo a spazzar via lo sgomento provocato dalla caduta dell’acrobata. Di trentanove acrobati. Sullo schermo, a fine serata, si videro le immagini dei giocatori festanti, con la coppa sollevata al cielo. Mentre in sovrimpressione scorrevano i numeri telefonici messi a disposizione dei parenti o degli amici delle vittime: il gioco era finito.
“Qualcuno ascolta. Aspetta. Trattiene il fiato, proprio qui, accanto. E dice: quello lì che parla sono io. Mai più dice, sarà tutto così quieto…”. Così Daniele Formica inizia a raccontare la sera più brutta del calcio mondiale, da quella sera il calcio non è stato più quieto, perchè quella è stata solo la prima delle tante tragedie. Gli Hooligan avevano colpito, lasciando il segno, troncando in un giorno di “festa” la vita di trentasei tifosi. Accompagnato dalle melodie scritte per l’occasione da Riccardo Panfili, suonate dal gruppo diretto dal M° Fabio Maestri, Formica ha ricordato quella tragica giornata. Una serata particolare, un evento unico al mondo, voluto dal Ravello Festival nell’anno della “Follia” perchè quella fu pura follia. Un racconto sospeso tra opera e teatro, tra reading letterario e melologo moderno. Attraverso un lungo, malinconico flashback, Veltroni esplora il lato folle di quello che una volta era considerato solo un gioco, evocando una delle più assurde tragedie consumatesi, nel 1985 a Bruxelles, intorno ad un campo di calcio. Dopo la rappresentazione, si è tenuto un dibattito con l’autore dell’opera, Walter Veltroni e uno dei protagonisti di quella partita, il Campione del Mondo Antonio Cabrini.
“Il sangue delle guerre e prevedibile, in una festa come il gioco del calcio il sangue non è prevedibile – così Veltroni ha aperto il dibattito – per raccontare tutto questo bisognava seguire lo stesso schema prendendo il momento più dolce, una notte d’amore in un anniversario di matrimonio ma riempirlo della sensazione di quella tragedia, del racconto di quella tragedia”. Attraverso la musica il racconto è stato più emozionante, e Veltroni ringrazia il M° Panfili per essere “riuscito a realizzare un lavoro splendido” in più aggiunge “mi fa molto piacere che sia stato un giovane compositore italiano a realizzare una produzione della quale Ravello e Rai Trade hanno il merito”. Nel corso del dibattito l’ex segretario del Partito Democratico torna a sottolineare che una festa non può essere macchiata di sangue, “festa e sangue è un binomio agghiacciante, spero che il racconto di questa sera sia riuscito a ricostruire la dimensione di quella follia.
Veltroni nel corso della serata non ha parlato solo della tragedia dell’Heysel, ma anche del Mondiale 2010, senza mettere in mezzo la “tragedia” azzurra. L’ex direttore de “L’Unità” ha aggiunto “da appassionato dell’africa sono orgoglioso di quello che gli africani hanno dimostrato in questo mondiale, tutti si aspettavano ‘gli stadi non finiranno!!!’, loro li hanno finiti, siamo noi che di solito non finiamo gli stadi”. In Italia gli stadi ora sono più vecchi rispetto a quelli del Sudafrica, è vero è in Italia che gli stadi non vengono ristrutturati. Veltroni parlando di stadi e ristrutturazione degli impianti, lancia una frecciatina e si unisce alle critiche che in questi ultimi mesi riempioni i giornali d’Italia, in riferimento all’Auditorium Oscar Niemeyer di Ravello dicendo “oppure quando finiamo gli auditorium non li apriamo”. Così Walter Veltroni commenta la situazione non positiva, per una struttura costata miliardi e che per ora è ancora “chiusa”. La follia è il tema del Festival 2010, così Veltroni tira in ballo nuovamente la follia dicendo “Si diceva che il mondiale sarebbe stato caratterizzato dalla violenza, è successo nulla solo qualche furto che succede ovunque”.
Il Mondiale che sta per terminare con una finale tutta europea, quest’anno al Festival non sarà proiettata la finale, nel 2006 portò lo schermo sul Belvedere di Villa Rufolo portò fortuna agli azzurri, è stato un grande evento e Veltroni ci tiene a sottolineare che “Grazie alla TV tutti hanno potuto vedere la grandezza di questo evento”. L’ex Vicepresidente del consiglio distaccandosi dal tema della serata, si sofferma anche sulla capacità di una modella Paraguayana, Larissa Riquelme “una ragazza del Paraguay geniale dal suo punto di vista, che evidentemente orchestrando un rapporto con fotografi e cameraman è riuscita a diventare una star mondiale, era molto bella, si è fatta inquadrare con un attillato costume con i colori del Paraguay e, con un cellulare collocato strategicamente”. La bella tifosa del Paraguay che aveva promesso anche uno spogliarello in caso di semifinali, è diventata una star grazie alla TV, “questo è un tipico caso di un nulla che diventa improvvisamente tutto” ma aggiunge Veltroni “tutto che però poi torna ad essere nulla come il Grande Fratello. La tv ha è una gigantesca potenza, e non bisogna demonizarla, ma bisgona usarla per la sua parte positiva, cioè quella di aiutare tutti a conoscere il dubbio, la fantasia. La tv che abbiamo conosciuto noi era una tv che aiutava il dubbio, ora spara certezze terribili e ogni dubbio viene considerato quasi eversivo, invece il dubbio è l’anima dei mezzi di comunicazione”.
Dopo aver parlato di belle ragazze diventate star grazie ad un decolletè usato come porta cellulare, Veltroni torna ad elogiare l’”Ensemble InCanto” diretto da Fabio Maestri, “Erano in sette ma sembravano un orchestra sinfonica. Tutto molto bello, questa è l’Italia, Ravello è l’Italia, questo Festival è l’Italia. – commenta Veltroni – Il ruolo dell’Italia in primo luogo è la bellezza il talento, questo è l’Italia, se smettiamo di investire su questo e passione su questo, noi contribuiremo a rendere questo paese diverso da come è stato storicamente”. Veltroni chiude il suo interveto dicendo “Torni un tempo, che non ha colore politico, un tempo in cui si coltivi l’amore e la passione per la creazione artistica, per il bello per la possibilità di portare il bello che ha dentro di se il dubbio e la ricerca anche nella TV e probabilmente domani nella rete”.
Dopo l’autore del testo da cui è stata tratto l’evento, ha preso la parola un campione che ha vissuto la tragica partita dell’Heysel da vicino, uno dei bianconeri che quella sera alzò al cielo la Coppa del Campioni. “Che impressione ti ha fatto risentire attraverso la voce di un attore, fatti di cui tu sei stato testimone in una maniera surreale?” – con questa domanda il direttore del Festival, Stefano Valanzuolo introduce Antonio Cabrini nel dibattito – “Potrei definirla sconcertante, per la prima volta ho immaginato cosa ha provato una persona che si trovava nella curva Z in quella partita.”. Seguendo la rappresentazione, il “fidanzato d’Italia”, ha ricordato quella sera, quella finale “Mi sono reso conto che la morte della vita, è stata la sconfitta del calcio e dello sport, ed è impensabile che in un momento di gioia, un momento in cui lo sport è sinonimo di aggregazione e amicizia si trasformi in una tragedia come quella avvenuta in quel campo”.
Nonostante la tragedia la partita non si è fermata, il motivo di questa decisione lo spiega direttamente Cabrini “si doveva giocare perchè non posso immaginare cosa fosse successo in modo contrario. La gazzella si sarebbe trasformata in leone e ci sarebbe stata una notte di follia nella città”. Dopo quella partita il concetto di gioco si è un pò perso, il divertimento legato alle partite è andato degenerando e oggi andare a vedere una partita è diventato molto difficile e pericoloso. “Probabilmente negli ultimi 10 anni il concetto di calcio è cambiato”, questo il commento di Antonio Cabrini che aggiunge “Spesso mi chiedono cos’è un campione? Io rispondo dicendo, un campione è un vincente che non smette mai di sognare. Da quella sera molta gente e molti di noi hanno smesso di sognare, perchè il sogno di un calciatore è quello di svolgere la sua attività divertendosi, e quando questo non avviene più il calcio non è più un gioco. Molti hanno smesso di sognare perchè si è persa la voglia di vedere lo sport in maniera pulita”.
Attraverso lo spettacolo, attraverso la muscia, ma sopratutto tramite le parole di un protagonista di quella tragedia, avvenuta 25 anni fa, il Ravello Festival ha voluto far capire che il calcio è un gioco, uno sport ricco di follia. Follia che può incoraggiare un campione ha segnare un goal impossibile. Follia che aiuta un portiere a volare, il più lontano possibile per evitare il goal della sconfitta. Follia che spinge l’allenatore a fare scelte impossibili. Follia che spinge i veri amanti del calcio ad andare allo stadio per supportare la propria squadra del cuore. Ma non la follia che rende cechi i tifosi che negli anni stanno “ammazzando” lo sport più bello del mondo, uno sport ricco di follia positiva e non di violenza e odio.
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