giu 18, 2014 Salvatore Malfitano Home Page, Sport 24, Sport USA 0
SAN ANTONIO SPURS
TOP
KAWHI LEONARD
Può sembrare scontato. Forse un po’ lo è. 23 anni fra due settimane, Leonard è stato costretto a maturare più velocemente di chiunque altro, senza nemmeno sapere ancora perché o per colpa di chi lui si trova da sei anni senza il padre, assassinato. Kawhi in campo e fuori sembra molto simile: schivo, umile, ad occuparsi del lavoro sporco facendosi trovare pronto quando c’è bisogno. In questa serie ha però potuto mostrarci anche le giocate irriverenti o quelle che richiedono una certa dose di attributi, specialmente se fatte quando ci si gioca una stagione intera. Posato, tatticamente una piaga per Miami, è sicuramente il futuro di questa franchigia. Dopo le prime due gare a marce basse in attacco (18 punti totali fra gara-1 e gara-2), è scattata la molla. In gara-3 ne ha messi 29, in gara-4 20 e nella successiva ha toccato quota 22. Ha saputo contenere LeBron o chiunque gli capitasse a tiro, ha fatto sentire la sua presenza in area e ha mostrato al pubblico il perché dei recenti elogi di Popovich. Tim Duncan non poteva sperare in una persona migliore a cui cedere il testimone di leader degli Spurs. Il titolo conquistato con San Antonio e il suo riconoscimento individuale nel Father’s Day americano, poi, è il lieto fine al suo romanzo. Ma le pagine da scrivere, per la gioia di tutti, sono ancora tante.
BORIS DIAW – PATTY MILLS
Che coppia, signori. Ci sarebbe da inchinarsi davanti al principe Boris e l’aborigeno Mills. Il francese per tutta la serie si rivela un jolly fondamentale per la squadra e Popovich lo sa. Ma dalla duttilità alla genialità il passo non è così breve come sembra, eppure Boris manco ce lo fa notare. Non sbaglia quasi nulla, in gara-4 addirittura sfiora la tripla doppia (8 punti, 9 rimbalzi e altrettanti assist). E quel passaggio dietro la schiena per Splitter entra di diritto fra i fotogrammi più belli nella storia delle Finals.
Il cuore oltre l’ostacolo in questa serie è senza dubbio quello di Patty Mills. La grinta, la voglia di spaccare il mondo lo mandano in una trance agonistica puntualmente che gli fa fare cose inimmaginabili, in attacco come in difesa. Ha confermato il miglioramento esponenziale mostrato questa stagione, con una serie da oltre 11 punti di media. La cosa non ci sorprende.
FLOP
DANNY GREEN
Troppo discontinuo. Nella partita decisiva, la guardia tiratrice dei San Antonio Spurs ha a referto un raccapricciante “0″ alla voce “punti”. Ed è una cosa che solo grazie ad una panchina tanto assortita quanto affidabile e funzionale che i punti non fatti da Green non pesano poi così tanto nell’economia della partita. E’ un peccato, ad ogni modo, perché l’ex Cleveland aveva fatto vedere varie cose buone durante la post-season, facendo anche illudere di poter essere determinante alle Finals. Ma le prime avvisaglie le avevamo avute già in gara-3, dove il canestro non l’ha mai visto nei primi 30′ di partita.
MIAMI HEAT
TOP
LEBRON JAMES
Un uomo solo al comando. Il problema è che nel basket si gioca in 5 e non uno contro uno. E chissà quante volte si sarà chiesto perché non può giocare in una squadra di suoi simili. La critica potrà essere impietosa quanto vuole, ai dati di fatto nelle quattro finali consecutive giocate, ha perso la prima e l’ultima. Ma ciò che ha mostrato, oltre al suo sconfinato e al momento ineguagliabile potenziale, è che la sua squadra ha dei limiti imbarazzanti, dovuti anche e soprattutto alla mancanza di due giocatori di livello accettabile nei ruoli di centro e playmaker. Dove non arrivano gli altri, deve dunque arrivarci LeBron. Perfino Leonard, che è l’unico contro cui James sembra andare qualche volta in difficoltà, ha da rimanere a guardare quando il Re decide di cambiare marcia. Ma a Miami hanno nella stessa scuderia una Ferrari, qualche monovolume e un ammasso di ferraglie, e quand’è così, giustamente, anche il più forte del mondo cede davanti allo strapotere del gruppo.
FLOP
CHRIS BOSH
Prende 9 volte i soldi che percepisce Kawhi Leonard. Nonché gli stessi 19 milioni che risultano sulla busta paga di LeBron. Ma lo squilibrio che c’è tra i protagonisti sopra citati è imbarazzante. In difesa è nullo, Duncan e chi per lui non gliela fanno vedere una sola volta. In attacco è deleterio, ma la cosa più strana è che va a bersaglio con il tiro più difficile (quello in fade away) ma non è assolutamente capace di trovare il jumper dalla media o il tiro da tre con spazio che spesso e volentieri San Antonio non difende se è lui quello destinato a prenderlo. A onore di cronaca ne azzecca solo uno, che mette l’ipoteca su gara-2. Ma è veramente troppo poco. Nemmeno lontanamente quello che dava un motivo per i soldi che prendeva degli anni passati, quando chiudeva l’era Celtics e abbatteva i Thunders. Insomma, quando era uno dei Big 3.
MARIO CHALMERS
I numeri sono già sufficientemente impietosi, per non parlare della resa di Spoelstra che gara-5 preferisce giocarla senza playmaker in quintetto. E come dargli torto. Rio è stato impalpabile. Siamo passati dagli 11 punti di media alle scorse Finals, ai 4 circa di queste appena concluse. E’ vero che avere stipendi così onerosi comporta che alcuni ruoli debbano rimanere meno coperti a dovere di altri. E’ vero che magari Spoelstra ne può fare di necessità virtù giocando small ball ogni qualvolta può. Ma è per via di atleti indolenti come lui che una serie così non si è mai vicini al poterla portare a casa.
Nato a Napoli, il 23/6/1994. Ex calciatore, attualmente redattore NBA per partenopress.com e basketinside.com; inviato sul Napoli per Il Roma. Studente di giurisprudenza all'Università Federico II di Napoli.
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